Informazioni e fonti esterne

Il Centre National de Recherche en Archéologie, la regina dei Tuareg e l’immensa campagna di ricerche nel Sahara

10 Ottobre 2019
Fonte: L’immagine perduta

Blog a cura di Giuseppe Di Re

 

 

PECC E ARCHEOLOGIA MESSAGGERA DI PACE

 

CNRA | Centre National de Recherche en Archéologie

Il Centre National de Recherche en Archeologie algerino è un organismo ancora molto giovane  che ha però davanti a  sé un compito a dire poco enorme. La vastità dei complessi montuosi e dello sviluppo del deserto nasconde patrimoni nascosti assolutamente non quantificabili e non immaginabili. La scala cronologica della desertificazione del Sahara  si è svolta secondo ritmi prevedibilmente sempre più accentuati. I mari e i laghi sahariani sono scomparsi da molte migliaia di anni, tuttavia la loro sparizione non dovette essere subitanea e nel corso di alcuni secoli dovette lasciare la presenza di molte oasi abbastanza disseminate nella sterminata area sempre più desertificata. Quindi la persistenza, pur non più con caratteristiche di tipo urbano, di nuclei  tribali dovette essere più diffusa di quella della storia più recente.  Certo è che le dimensioni geografiche e le peculiarità sahariane sono non del tutto simili a quelle dei deserti del Vicino Oriente. Geo-climatologi, geologi,  esperti in ricognizione aerospaziale e altri scienziati daranno sempre più ricchi contributi nel prossimo futuro alla ricerca archeologica, antropologica e storica, affiancati in altri ambiti dai genetisti. Una “decifrazione” importante potrebbe essere quella del potere determinare in un non lontano futuro degli indici sull’impatto distruttivo causato non solo dai grandi erbivori quanto soprattutto dall’azione di disboscamento prodotta dalle molteplici azioni umane, cosa eccezionalmente evidente nel panorama geo-storico di tutto il vicino Oriente e in misura minore in Sicilia. Il Cento di ricerche archeologiche algerino dimostra intensa vitalità, tuttavia grandi risorse finanziarie, materiali e umane dovranno essere  destinate quanto prima a questo organismo affinché possa dare avvio alle tante campagne di ricerca e di scavi che attendono  e a quelle che via via  saranno individuate e proposte con ritmi speriamo sempre più veloci.
Fra le tante fonti documentarie di recente produzione, abbiamo scelto questo documentato articolo dell’Architetto Alberto Arecchi, che riportiamo integralmente.

 

 

 

TIN HINAN, ANTENATA DEGLI UOMINI BLU

 

di Alberto Arecchi

Tin Hinan è la mitica regina eponima dei Tuareg Ahaggar, una figura leggendaria dell’identità berbera. Il mistero ricopre la sua figura reale, mentre nel mito ella s’intreccia con alcuni misteri della storia d’Atlantide: la regina del deserto cambia il proprio nome nell’assonante Antinea, nel romanzo “L’Atlantide” di Pierre Bénoit, ed ispira una parte delle ricerche moderne di Alberto Arecchi, con altre assonanze, che marcano la continuità linguistica della storia dei popoli berberi e del mito mediterraneo: Tjehenu (antico popolo libico), Titani, Tin Hinan…
Nel 1925 una spedizione franco-americana, diretta da Maurice Reygasse (direttore del museo di preistoria e d’etnografia d’Algeri) e dall’”Americano”, il conte di Prorok, intrapresero gli scavi d’un gran tumulo funerario, ad Abalessa, 73 km ad ovest di Tamanrasset, presso il massiccio dell’Ahaggar. In quel tumulo, le tradizioni dei Tuareg Kel Rela identificavano la tomba della loro mitica regina madre, l’antenata degli “uomini blu”, la casta più nobile tra tutti i popoli del gran deserto.

Nel tumulo furono scoperte diverse camere. In una di queste giaceva uno scheletro, in buono stato di conservazione, sui resti d’un letto di legno intagliato. Lo scheletro giaceva sul dorso, con il capo orientato verso Est, gambe e braccia lievemente piegate, e indossava un copricapo di piume di struzzo, 15 braccialetti d’oro e d’argento. Inoltre si ritrovarono intorno allo scheletro una lampada romana, i resti d’una tunica di cuoio rosso, perle d’antimonio e di metallo, un anello ed una foglia d’oro, perle rosse, bianche e colorate, i grani d’una collana, due sigilli (punzoni) di ferro ed altri oggetti: un tesoro inestimabile, se si pensa che solo gli oggetti d’oro raggiungevano un peso di sette chilogrammi.

Il conte di Prorok ottenne le autorizzazioni per presentare la scoperta nelle università americane. Lo scheletro fu portato insieme al suo tesoro in un viaggio per l’America, col titolo di “Eva del Sahara”, poi ritornò ad Algeri, dove rimane esposto nel Museo antropologico del Bardo. Per essere conservato, però, ha subito un trattamento a base di catrame ed una successiva “ripulitura” a base d’altri prodotti chimici.
Il dottor Leblanc, preside della facoltà di medicina d’Algeri, fu il primo ad occuparsi d’uno studio antropometrico sui resti trovati ad Abalessa. Lo scheletro ha un’altezza tra 1,70 e 1,75 m e, secondo Leblanc, è quello d’una “donna di razza bianca”. Per trarre tali conclusioni, il professore si basò sui caratteri del cranio, sulle dimensioni ridotte dello sterno e delle costole, sulla forma e le dimensioni del bacino e sull’aspetto delle ossa lunghe. Leblanc constatò anche che le vertebre lombari e l’osso sacro presentavano lesioni e deformazioni, all’altezza della quinta vertebra lombare. Il soggetto doveva zoppicare, e questo corrispondeva con le tradizioni. Infatti lo storico arabo Ibn Khaldun riferisce che gli antenati dei Tuareg, i Berberi Huara, chiamavano Tin Hinan “Tiski”, ossia “la zoppa”. Il nome Tin Hinan significa, secondo l’analisi linguistica condotta dal ricercatore Dida Badi, “quella degli accampamenti”.
In seguito, però, cominciarono i dubbi. In uno studio pubblicato nel 1968, Marie-Claude Chamla sosteneva che “i resti erano quelli d’una donna dalle caratteristiche mascoline” e che “se gli oggetti del corredo della tomba non fossero caratteristici femminili, avremmo optato per classificarlo come un maschio, sulla base dei caratteri del cranio e dello scheletro, un individuo di età compresa tra i 40 ed i 50 anni, mediamente robusto”.

Negli stessi anni un altro ricercatore, Grébénard, scriveva: “…il mausoleo funerario racchiude un personaggio certamente di sesso maschile, la cui data d’inumazione è stata individuata grazie alle analisi del Carbonio 14 ed all’impronta d’una moneta dell’imperatore romano Costantino il Grande, emessa tra il 308 ed il 324 d.C.”. Secondo Grébénard, “la leggenda di Tin Hinan è una creazione recente, che non ha più di 200 o 300 anni, creata dai Tuareg Kel Rela per ragioni di predominio politico, per mantenere la supremazia su tutti i Kel Ahaggar. Tale leggenda è quindi del tutto estranea alla tomba ed al personaggio che essa conteneva”.
Oltre l’incognita relativa al sesso del personaggio, il monumento d’Abalessa racchiude altri misteri. Il sito, “scavato malamente”, secondo gli archeologi algerini, può ancora rivelare preziose indicazioni sulla propria natura. Potrebbe infatti essersi trattato d’un antico fortino (“tighremet”), che ospitava un re locale (“Aghlid”), il quale sarebbe stato inumato nella sua stessa reggia, trasformata in mausoleo. Marie-Claude Chamla, che ha studiato di recente lo scheletro, ha chiaramente esposto tutti i dubbi di natura antropologica ad esso connessi. Dal punto di vista archeologico, appare opportuna una ripresa degli scavi, in particolare dopo gli studi recenti condotti dall’architetto dell’Office du parc national de l’Ahaggar (OPNA), Karim Arib, che ha scoperto graffiti alla base del monumento.

I rilievi compiuti dall’architetto Arib mostrano infatti le tracce d’una piccola fortezza, con un ricetto in cui si raccoglieva la popolazione in caso di pericolo. Gli archeologi algerini, secondo le indicazioni di Malika Hachid, penserebbero di riprendere gli scavi alla base del monumento. “Proprio qui è stato scoperto un graffito con un cavaliere, un dromedario e due antiche iscrizioni libiche”, che retrodaterebbero la costruzione di almeno cento anni, rispetto al sec. IV (epoca dello scheletro).
Esiste anche un fondo importante di documenti inediti, ereditati da Félix Dubois (1862-1945), un grande giornalista-esploratore che visitò i luoghi nel 1903, molto tempo prima degli scavi del 1925.
La leggenda ed il mito fondatore dei Tuareg è dunque in pericolo? Dal 4 al 9 novembre 2007 un gruppo di studiosi della preistoria ha partecipato ad un convegno di studi a Tamanrasset. In chiusura dei lavori, i partecipanti hanno compiuto una visita al monumento d’Abalessa, accompagnati e guidati dai più importanti studiosi algerini nel campo delle ricerche sulla preistoria: Malika Hachid, Abdelkader Haddouche e Slimane Hachi.

Malika Hachid ha sostenuto con forza la necessità di riprendere gli scavi, ma anche gli studi antropologici: “Si tratta d’un dovere scientifico, visto che la leggenda e la tradizione parlano del mausoleo d’una regina, mentre l’archeologia e l’antropologia nutrono dubbi sul sesso del personaggio sepolto. Occorre riprendere la ricostruzione facciale e tentare anche un’analisi del DNA (se possibile). Si tratta d’uno studio importante, soprattutto per una donna-archeologo, come me”.
Malika Hachid, nata nel 1954 ad Algeri, è laureata presso l’università d’Aix-en-Provence, in preistoria e protostoria sahariane. È stata ricercatrice, assistente, conservatore, e poi a lungo direttrice del Parco nazionale dei Tassili n’Ajjer (Patrimonio mondiale). Malika Hachid è innanzitutto una ricercatrice sul campo, grande conoscitrice del Sahara in generale e del massiccio montuoso dei Tassili in particolare, una regione che ella percorre a piedi e sul dromedario da oltre venticinque anni.

Lo studioso di preistoria Abdelkader Haddouche, ex Direttore del Museo del Bardo d’Algeri, ha esposto anche un altro interrogativo, derivante dalla datazione dei quattordici piccoli monumenti funerari, scoperti intorno al tumulo d’Abalessa. “Se essi circondavano un fortino, tutte le datazioni devono essere riviste, poiché il fortino dev’essere per forza più antico. Occorre compiere nuovi scavi, che ci permettano di sapere se i monumenti minori siano – o no – di epoca islamica, il che obbligherebbe a rivedere tutte le datazioni relative al regno di Tin Hinan”.
Qualche esitazione invece, dovuta al rispetto del mito e delle opportunità “politiche”, è stata espressa da Slimane Hachi. “La memoria dei luoghi è propria delle tribù tuareg dell’Ahaggar, discendenti di Tin Hinan e della sua ancella Takama, e dobbiamo proteggere il mito contro i ‘profanatori’. Padre Charles de Foucault raccolse un secolo fa i racconti dei Tuareg dell’Ahaggar, con la sublime leggenda di Tin Hinan, protagonista insieme a Takama d’una leggendaria migrazione dal lontano Tafilalt, a sud del Marocco, per sottomettere gli Isabaten, la popolazione che viveva nell’Atakor, e fondare un nuovo regno. Dobbiamo rispettare il mito, a qualunque costo, e la fierezza di queste popolazioni”.

(fonte: Liutprand)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.